Andare per mare è una cosa, raccontare cosa accade in mare un’altra, scrivere di mare e farsi capire è cosa (per me) completamente nuova. Scusate l’impudenza.
Seconda metà di maggio, il tempo non promette niente di buono: minaccia pioggia ma non è questo che mi può fermare davanti all’ipotesi di catturare una bella spigola o un bel dentice. Navigo da qualche ora e il mare resta calmo, la bassa pressione e le nubi sembrano schiacciarlo, la temperatura è gradevole, circa 20 gradi. L’ecoscandaglio è muto e non c’è segno di vita: a senso una di quelle giornate di pesca da dimenticare.
A sud il cielo sempre più nero fa presagire pioggia battente e quindi per evitare un bel bagno decido di rientrare, non prima di passare sopra due spot che mi sono a tiro. Affondo la prima lenza cercando di sfiorare gli scogli ma sia nel primo caso che nel secondo non succede nulla; altro che spigole, neanche uno sciarrano si è fatto invogliare dalle mie esche.
Punto la darsena, sotto di me 12 metri di acqua, fondo piatto, verso Passoscuro stà già piovendo. Mi devo sbrigare: recupero la lenza a galla con rapidi movimenti e tolgo l’artificiale, poi non senza nervosismo ripongo tutto. Il motore è al minimo, inizio a recuperare la seconda canna. Arriva il piombo a sgancio, lo poggio a paiolo, il recupero senza pesi mi fa sentire il minnow in mano, il pollice accompagna automaticamente il multifibre facendo in modo che giri al suo posto. Ho fuori ancora una trentina di metri di multi oltre al finale in fluoro…
Improvvisamente la punta della canna si piega, pochi istanti e il cicalino comincia a urlare, lo stridere diventa costante e aumenta in frequenza, percepisco immediatamente che non si tratta di un corpo estraneo ma di una grande fuga nel blu. Cimino piegato, velocità stratosferica.
La bobina continua a rilasciare filo, tutto il multi è andato e lo 0,60 lo sta seguendo veloce parallelo al pelo dell’acqua, più di duecento metri di filo sono fuori mentre inizia a diminuire l’acuta frequenza del mio Torsa: rallenta, rallenta, si ferma. Sento un enorme peso, è qualcosa di estremamente grande, potente, non vi dico cosa potessi pensare in quel momento.
Il monofilo rimane alcuni secondi in trazione orizzontale, parallelo alla spiaggia. Basta una tenue sollecitazione e il cicalino ricomincia con la sua musica: molto lentamente ma in modo costante il filo assume un’inclinazione di 45 gradi. Percepisco il peso del pesce che conquista il fondo piantandosi.
E’ bloccato sul fondale e non posso minimamente forzare. Parlo con me stesso e cerco di convincermi: è tutto a posto, se non ha rotto fino adesso me la posso giocare.
Non so quanto tempo sia rimasto in stallo, ma non potevo permettermi di sbagliare. Lento il gommone continuava la sua marcia e il mulinello rilasciava filo: all’improvviso una forte testata scuote la canna e sento quella possente massa staccarsi dal fondo. Rapido comincio a girare la manovella mantenendo il monofilo sempre in tiro: veniva, veniva e la distanza che ci separava cominciava a diminuire. Di tanto in tanto il pesce tentava delle fughe rapide e violente per poi riprendere la direzione del mio gommone, a una cinquantina di metri dalla mia poppa lo vedo saltare fuori dell’acqua più di una volta, è enorme, possente. Il più grosso pinnuto che abbia mai dato al mio artificiale. Un serra gigante?
Dopo i salti altre fughe e di nuovo la conquista del fondo per piantarsi ancora come un albero. Se non ha rotto fino adesso è mio, continuo a pensare, non devo forzare o stringere la frizione, tutto mi sembra perfetto. Come la prima volta si stacca e mi segue, torna in superficie, me ne accorgo seguendo l’inclinazione del filo. E’ passato almeno un quarto d’ora dallo strike, la distanza si è ridotta notevolmente… E’ forte, ma mi appartiene.
Non viene di peso ma accompagna il recupero, non proprio come si comporta una palamita, ma opponendo una media resistenza. La punta della mia canna indica l’orizzonte e il filo si allunga a poppa con un minimo di angolo verso il basso.
Comincio a guardare e come per incanto a pochi metri dalla poppa vedo uscire dal liquido una pinna, sono attimi, si fa sempre più grande e sporgente, intanto un’enorme macchia nera prende forma sotto la superficie. Rimango allibito.
La pinna taglia il liquido come un rasoio e ora sporge sopra la superficie per almeno 25 centimetri, un triangolo rettangolo perfetto che naviga al di fuori dell’acqua e arriva al mio fianco. La forma comincia a prendere colore, anzi due colori: bianco e nero. Una Leccia Amia che supera il metro e mezzo di lunghezza che io tenevo al guinzaglio come un cagnolino… Avevo finito di pescare: quella mastodontica creatura stava al fianco del mio tubolare a non più di un metro e lo spettacolo in pochi attimi aveva cancellato tutte le mie doti predatorie, stare accanto a tale imponenza mi gratificava.
Gli occhi non si staccavano da quella orca mansueta, la grande pinna era sempre fuori dall’acqua, non combatteva, continuava a navigare accanto a me….ragazzi ho un buco di memoria…
Non è più al mio fianco ma improvvisamente la trovo a prua, il pesce aveva accelerato senza che me ne rendessi conto e ora mi dava la coda. La visione è stata come un pizzico di vespa, reagisco istintivamente e giro velocemente la manovella, il filo, rimasto sempre in tiro sta facendo il suo lavoro e le forze in gioco non sembrano essere cambiate ma in una frazione di secondo, senza il minimo accenno a qualunque reazione da parte del pesce, sento che quel filo che ci unisce si spezza, il recupero diventa automaticamente passivo, quattro giri di mulinello e l’artificiale è nelle mie mani. Seguo con lo sguardo la pinna che ho davanti che continua il suo percorso costante ma sempre di poco più veloce della mia marcia fino a che, come un sommergibile che prende il fondo, centimetro dopo centimetro scompare. E il grigio del mare assorbe il tutto.
Comincia pian piano a piovere, mi sento frastornato, dopo poco arrivo a terra, Cristian mette la briglia al mio gommone e come al solito mi chiede
come è andata. Come se avesse inserito una moneta in un jukebox comincio parlare, a raccontare l’avventura di quel giorno indimenticabile. Mi sento osservato, capisco che non ci sono parole per descrivere ma continuo raccontare la storia. Storia che non ha avuto un lieto fine, storia di una sconfitta e nello stesso tempo di una grande vittoria che ha lasciato in me un segno indelebile.
Seduto sul tubolare prendo in mano il piccolo minnow, cinque dei sei ami degli ancorotti sono aperti ma non divaricati, decido che quel piccolo pescetto di plastica non pescherà più, rimarrà un cimelio tra le mie cose, ogni volta che lo guardo è la ripetizione dello stesso film che non mi stancherò mai di guardare e di raccontare.
Bella,bella, straordinaria giornata di pesca!
ZORO.